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Anime in viaggio

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chiosco di piazza San Bernardino con le nostre pezze

chiosco di piazza San Bernardino con le nostre pezze

Quattro aprile duemilatredici. ore 20.35.

Nel giardino del chiosco dove ci troviamo quasi tutte le sere, qualcuno ci dice “Tanto siete donne, partirete tardi domattina. E siccome vi fermerete lungo il viaggio cento volte, ci metterete almeno sei ore prima di arrivare a Finale Emilia”.

Cinque aprile duemilatredici. Ore 10.30.

Il mezzo “noveposti” noleggiato per portare le anime di Animammersa a Finale Emilia e a Mirandola con una vagonata di pezze di lana colorata nel portabagagli, è pronto.

È inevitabilmente tardi, ma siccome siamo tutte donne e dobbiamo fare almeno tre o quattro cose contemporaneamente, abbiamo pensato che mentre si viaggia potremo comunque lavorare e quindi perdiamo tempo ad organizzare la logistica interna al furgone. Per non fermarci sulla strada, e finire quello che abbiamo lasciato in sospeso, smistiamo gli oggetti che ci servono, fra il portabagagli e l’abitacolo. Io sono alla guida, Simona alle foto, Antonella Donatella e Patrizia, alla rifinitura del lavoro.

Siamo in ritardo, siamo donne, siamo convinte. Andiamo.

locandina

locandina

Dopo venti metri, la prima sosta. Sentiamo il fiato sul collo del commento fattoci la sera prima, cominciamo a ridere, ma non ne possiamo fare a meno: è necessario che il nostro “noveposti” sia visibile, durante il viaggio. E quindialmeno il poster di “Mettiamoci una pezza” dall’Aquila all’Emilia per il  6 Aprile 2013, ce lo dobbiamo mettere, sui vetri laterali.

Bella decisione, quella di tendere il filo rosso del nostro progetto di urbanknitting dall’Aquila all’Emilia. Coraggiosa, anche, perché siccome saremo altrove, non commemoreremo le nostre vittime insieme ai nostri cittadini. Non fisicamente, almeno. Esistono però molti modi per ricordare e uno dei modi è quello di raccogliere tutte le voci possibili e di unirle in un unico slogan condiviso: “una zona rossa, ovunque si trovi, è questione nazionale”. 

E così, le pezze che lo scorso anno hanno denunciato il grigiore e l’incuria di un mancato avvio di ricostruzione per il nostro centro storico aquilano, quelle stesse pezze che sono state create da migliaia di persone, filmate e  fotografate da tutto il mondo, quest’anno le abbiamo chieste perché l’azione corale che si coagula sempre intorno a questo progetto, diventasse l’espressione polifonica del nostro slogan.

Lo abbiamo lasciato in Piazza Duomo, il 4 aprile, a  monito per i politici e per la gente, nella consapevolezza che fosse condiviso da molti. E lo abbiamo portato con noi a Finale Emilia e a Mirandola, dove è stato accolto, capito e diffuso fra le persone.

Naturalmente piove. E’ una specie di marchio di fabbrica, quello di allestire la nostra guerrilla urbana sotto l’acqua. Durante il viaggio di andata, quando la pioggia ha cominciato a battere sui vetri, all’altezza di Bologna, eravamo comunque tranquille, attrezzate, per niente intimidite. La prima tappa, Mirandola, ci visto arrivare determinate a lavorare anche con la grandine, se necessario.

...anche gli uomini ci possono riuscire

…anche gli uomini ci possono riuscire

La piazza di Mirandola è grande, un viale alberato infinito. Poi, la decisione: allestiamo le colonne del teatro. Incerate, cappelli antipioggia, umido, acqua che entra nelle maniche delle giacche, nessun nervosismo. Dopo un po’ undrappello di gente si ferma, Simona fotografa, Donatella e Antonella spiegano, io e Patrizia lavoriamo, insieme ad altre due o tre donne. Simona sorridendo dice ad un signore che si avvicina: “Non è difficile, anche un uomo ci può riuscire”

“Mi aspetti, allora, signorina. Vado a prendere gli occhiali in macchina ed arrivo”. E’ rimasto con noi, a cucire, al buio e sotto la pioggia, fino alla fine dell’allestimento, notte fonda.

E poi Finale Emilia, la mattina seguente.  La novità è il sole! Una giornata tiepida, luminosa, piena di aspettativa. Quando arriviamo sul posto in cui Isabella ci ha dato appuntamento, troviamo donne al lavoro fra una montagna di pezze di lana. Ma quello che succede quando ci avviciniamo con il nostro furgone alla piazza adiacente il Castello e la Torre dei modenesi è veramente pazzesco.

“Mah, forse c’è mercato” dice Donatella

“Ma dai, sarà una manifestazione”

“Ragazze, quella gente sta là per noi”!

...forse c'è il mercato

…forse c’è il mercato

Posteggiamo il mezzo fra la folla che ci aspetta. I Finalesi non ci hanno aspettato con le mani in mano, hanno lavorato nel giorni passati, hanno raccolto pezze colorate, hanno spiegato ai bambini delle scuole il senso del nostro slogan, hanno condiviso e accettato l’idea di comunità che va molto oltre la solidarietà.

Quello che vediamo e sentiamo a Finale Emilia, fra le migliaia di persone che ci stanno aspettando, è la voglia di ragionare su un problema nazionale che va affrontato, un territorio che va messo in sicurezza, un progetto normativo nazionale di prevenzione e di adeguamento anti sismico, anti alluvione, anti frana.

E lo stiamo facendo insieme, attraverso lana colorata, in una data che è fondamentale per noi aquilani e per noi di Animammersa, ma che per Finale Emilia, Mirandola, Cavezzo e gli altri comuni emiliani in fondo, non significa molto. Loro avrebbero il 20 e il 29 maggio, per commemorare il loro terremoto.

E invece quello che stiamo dicendo con gli emiliani, oggi, sei aprile duemilatredici, è che non esistono catastrofi private. Esiste piuttosto una collettività che ha voglia di dire, creando azioni corali, che è il momento adesso che la politica dia un nuovo significato alla gestione delle cose pubbliche e delle risorse;  che si doti di strumenti normativi indispensabili affinché ogni disegno societario possa riprodursi in sicurezza.

Noi di Animammersa abbiamo scelto il 6 aprile, l’abbiamo portato in Emilia e ci siamo accorte che la “lontananza” non esiste, annullata dalla forza della gente che pretende che “una zona rossa ovunque si trovi, sia una questione nazionale”.

Dentro al “noveposti” che ci riporta a casa, domenica, sembra sia scoppiata un bomba. C’è un disordine pazzesco, e una grande serenità. Qualcuna di noi dorme, qualcuna pensa, qualcuna fuma. Non abbiamo voglia di tornare a casa, andremmo a portare le nostre idee anche a Gibellina, a Firenze, nei territori alluvionati della Liguria. E’ un progetto, ci stiamo lavorando, lo faremo.

Poi, dal lettore CD, dopo una serie ininterrotta di Radiohead, Pearl Jam, P.J. Harvey, all’improvviso e a tutto volume, parte una canzone di Tiziano Ferro. Il casellante ci guarda allibito mentre paghiamo e cantiamo a squarciagola “Io ti amo, si ti amo”.

Le Anime sono tornate a casa, ma sono pronte a ricominciare, che se uno pensa una cosa, poi la discute e poi la fa, c’è sempre qualcun altro che la guarda, la discute, ne pensa un’altra e poi, magari, la fa.

i nostri tre striscioni che uniscono le zone rosse d'italia il 6 aprile 2013

Una zona rossa, ovunque si trovi, è questione nazionale

Una pezza di parole per L’Aquila da Giancarlo Pallotta

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chiosco di piazza San Bernardino con le nostre pezze

chiosco di piazza San Bernardino con le nostre pezze

 In questo chiosco, nei pressi del parco giochi di San Bernardino, abbiamo incontrato Giancarlo che ci ha fatto i complimenti per il nostro progetto ed ci ha chiesto come poteva partecipare. Gli abbiamo raccontato di come chi non sapeva usare ferri o uncinetto ha utilizzato un altro ferro corto: la penna. Oggi riceviamo la sua pezza di parole e volentieri la pubblichiamo. Grazie Giancarlo!

Riprendiamoci L’Aquila (Bella Mè !)

Gelate aquilane.

Non piove da mesi.

Non fa più la neve.

La terra è arida,

Fuma al mattino.

Solleva nubi…

Che un vento gelato

Va a diradare,

Supplendo a un inverno

Che forse… verrà!

Sono da solo.

Così mi pare.

Vorrei uscire!

Sentirmi vivo,

Cercare un mondo,

trovare un amico!

Ma dove vado

In questa città!?

Ferita,

Diversa,

Altra da me!

Che pur l’ho amata,

Che sento mia

Perché È mia.

Io l’ho creata!

A modo mio,

insieme agli amici,

che sono tanti!

Non è presunzione!

A volte subita.

Con allegria,

Con sogni veri,

rivoluzionari,

Quasi realtà.

Non ho rimpianti.

Sono vissuto.

Vorrei vedere

Vorrei sentire

Poter gioire!

Tutte stronzate

L’Aquila me?!…

Son solo e basta!

Intorno insiste

La saga cialtrona

Di gente mediocre

Senza passione

Non degna di me,

Non degna di Te.

Qualcuno che afferma:

“Non è colpa mé!”

“È colpa degli altri.

E il merito è mio.”

Un altro dice:

“L’avevo detto:

Fidate di me!”

Ma DAVVERO per Dio

Finirà così!?

Così come dicono,

Che in fondo,

A star buoni

A non romper maroni

RINASCERÁ?

Ho voglia di crederci!

Ma non so perché

Qualcosa si oppone.

Ingenuo non sono,

Coltivo speranze,

“me so fattu rossu”,

Penso tra me.

Sarà, forse,

che spero

In una città

Gonfia d’orgoglio,

Certa nel cuore,

Fatta di gente

Che ritrova fierezza,

Che non ne “Po’ più”?

Di cotante stronzate,

Mai digerite

Che si Alza e che Dice : RICOSTRUZIONE e… VIA L’INVASIONE!!!!

Una pezza per i portici da Maria Piera D’Alessandro

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i Portici di L'Aquila, prima del sisma del 6 aprile 2009

i Portici di L'Aquila, prima del sisma del 6 aprile 2009

Il breve tragitto che separava casa mia dai Portici, 3-400 metri in tutto, aveva per me il sapore della libertà. Libertà dalla famiglia, libertà dalle incombenze scolastiche e libertà dal ruolo di figlia, di bambina ancora da proteggere e tenere d’occhio.

Lì, sotto i Portici, mi sentivo grande, indipendente, alla pari con tutti gli altri, con la fiumana di ragazzi e ragazze che ogni sera , e ogni giorno alla fine delle lezioni, vi si riversavano.
Insomma, quel breve tratto di “strada”, con negozi, bar e anche una chiesetta, era in realtà una scuola di vita. Lì ho (intra)visto i miei primi amorazzi, lì si sono infranti i miei sogni romantici da due cuori ed una capanna, lì ho pianto per il mio povero cuore da sedicenne spezzato e anche per un brutto voto a scuola.
Lì confabulavo con le amiche se “quello là” tanto carino non fosse un filino troppo grande per me!

I Portici, quindi, come viaggio iniziatico, di formazione: si entrava ragazzini e se ne usciva adulti. Si arrivava timidi ed insicuri, alla ricerca di una colonna a cui associarsi. Ogni colonna aveva il suo nome preso in prestito dal vicolo attiguo o dal negozio più vicino. E ad ogni colonna corrispondeva una “compagnia” di ragazzi con caratteristiche ben precise. Per tipologia di scuola, ambito sociale e/o politico ed età. Di solito ci si accodava a qualcuno che, benevolo, permetteva al nuovo arrivato di entrare nella compagnia. Una specie di presentazione ufficiale, come nei circoli più esclusivi. Poi, pian piano, da pulcini spaventati si guadagnava in sicurezza ed autorevolezza, all’interno di una invisibile, ma disciplinata “scala sociale” interna ad ogni compagnia. E con il passare degli anni, se si aveva la voglia e la costanza di rimanere sempre lì, si arrivava ad essere il punto di riferimento della colonna o del vicolo. Magari conosciuti e riconosciuti in tutta la “vasca” dei Portici. Insomma, si diventava una piccola celebrity!
Chiaramente alla sottoscritta non è mai accaduto! Io facevo parte della maggioranza silenziosa, quella che era contenta di stare lì, ma non aspirava alla celebrità. Anzi, più era invisibile e meglio stava!

Poi, ad un certo punto della tua storia, i Portici ti “sputavano” fuori: perchè a quel punto eri pronto per affrontare la vita, quella vera, senza che loro stessero lì a proteggerti, con il loro abbraccio rassicurante, perchè avevano esaurito il loro compito e, come una mamma benevola, ti accompagnavano con delicatezza verso l’età adulta che ti attendeva aldilà del Corso.

I Portici oggi  - foto di Anna Lordi

I Portici oggi - foto di Anna Lordi

Quel Corso che ora è lì, immobilizzato dalle transenne e imbracato dai puntellamenti. Con le vie laterali chiuse ed inaccessibili. Con i militari che gentilmente ma con fermezza lo presidiano e i cittadini che ostinatamente tornano lì, in mezzo al nulla, per fare le loro passeggiate fino a Piazza Duomo, dove c’è, ancora ferita, la Chiesa delle Anime Sante, emblema del terremoto. Ma proprio dai Portici si può percepire che gli aquilani non si sono arresi ed ancora sono lì, in attesa di riappropriarsi della città, quando sarà loro permesso. Lo si vede dalle chiavi delle case, che i cittadini del centro storico hanno appesa più di un anno fa, proprio sotto i Portici, e che toglieranno quando potranno tornare nelle loro abitazioni, ora inaccessibili o, in alcuni casi, da abbattere. Lo si vede dalle pezze colorate messe un po’ dappertutto proprio lì, grazie all’iniziativa Mettiamoci una Pezza, per ridare colore e vita alla città dell’Aquila. Iniziativa che ha riscosso un notevole successo, con 4000 pezze pervenute da tutto il mondo. Nel III anniversario del terremoto, questi piccoli capolavori fatti a maglia hanno decorato i Portici, la Piazza del Duomo ed altri luoghi simbolo di quella che fu la città pre-sisma.

Un modo di riprendersi il centro, anche solo per una giorno, anche solo simbolicamente.

pubblicato il 10 aprile 2012 su La Eco

Una pezza per i Portici da Guido

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i Portici prima del 6 aprile 2009

i Portici prima del 6 aprile 2009

Parlare dei Portici dell’Aquila significa parlare della città stessa. I Portici ne erano il nucleo, il fulcro, la vita, il luogo di animazione e di incontri. Vedere quel brulicare di gente che li affollavano due volte al giorno, a mezzogiorno ed alle sette la sera, significa ricordare il popolo che li viveva con le sue peculiarità e le sue contraddizioni: giovani ed anziani, snob e proletari, fascisti e comunisti.

Non frequentarli significava essere fuori della vita della città. Anche gli abitanti delle frazioni non disdegnavano una passeggiatina sotto i portici, almeno nel fine settimana. La presenza sotto i Portici ti omologava alla città, ti rendeva cittadino aquilano a tutti gli effetti.

Tanti i ricordi che si affollano della mia adolescenza vissuta anche sotto i Portici, e certamente quelli che più mi piace ricordare sono i ricordi d’amore, dei primi approcci con le ragazze. Nell’era pre-digitale, gli incontri si facevano a scuola, alla Villa Comunale e sotto i Portici; ci si andava per fare politica ma anche per incontrare qualche ragazza che ti piaceva, la osservavi passeggiare con le sue amiche e speravi che si fermasse alla tua colonna o che qualcuno dei tuoi amici la conoscesse.

I Portici del Liceo oggi

I Portici del Liceo oggi

Non sempre avevi il coraggio di presentarti, di fermarla e talvolta gli amori rimanevano incompiuti. Qualche volta, invece, l’amicizia già c’era ed allora si approfittava per fare qualche “vasca” insieme e insieme parlare del più e del meno: la scuola, l’impegno politico.

Non poteva che nascere sotto i Portici la prima iniziativa di impegno politico – sociale: il mercatino del libro usato.
Era un’attività che noi giovani di sinistra copiammo da altre città per dare un servizio agli studenti delle scuole superiori e perché serviva come autofinanziamento per i collettivi di sinistra. Quando le scuole iniziavano il 1 Ottobre, l’attività prendeva avvio a fine Agosto, primi di Settembre: si raccoglievano i libri usati e poi si mettevano in vendita su dei tavoloni di legno, ordinati per materia e per classe. Fu la mia prima esperienza organizzata: bisognava fare i turni dei volontari, tenere il registro dei libri ricevuti e di quelli venduti, tenere la cassa.

Quella esperienza la ricordo volentieri e con grande nostalgia anche perché lì conobbi la donna che più ho amato nella mia vita; un amore sopito per 30 anni e che si è ravvivato nella maturità così come un libro rimane su uno scaffale per anni in attesa di essere riletto.

E mo’ mettici ‘na pezza…

Una pezza per i Portici da Rita Biamonti

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i Portici prima del 6 aprile 2009

i Portici prima del 6 aprile 2009

Divento grande.
Le tute da ginnastica escono dalle palestre e diventano belle.  Capi d’abbigliamento che puoi indossare sotto i Portici.

Divento grande.
L’emozione dei primi appuntamenti, imparo un lessico lontano dalla piazzetta dei giochi, regole e linguaggio nuovo lo affronto come se niente fosse perchè ora è lì che devo trovare il mio posto.
Le lancette segnano le 16.30. Carnevale, scappi inseguita dai  manganelli pieni di carta o di acqua. Dentro e fuori di corsa, urla e risa.
A domani, ora si devo lasciare lo spazio ad altri.

Divento grande.
Una fila silenziosa di liceali segue un inconsapevole vecchietto. Rido ancora.
L’amore, gli sguardi, usa il passaggio dell’autobus per nascondersi. Spiritoso sì, molto spiritoso, begli amici che siete! Il coraggio di camminare la prima volta  mano per la mano.
Luglio è un deserto, Agosto si rianima. E’ arrivato Settembre, vai che si ricomincia.
Sposto in avanti le lancette. Ci vediamo domani.

i Portici oggi

i Portici oggi

Divento grande.
L’appartenenza politica. Ci si ferma e ci si appoggia,  solo a quella determinata colonna… il mio  compagno di banco si ferma qualche colonna più avanti. E’ tempo di riflettere sulla collocazione in classe dei posti a sedere.
Le domeniche pre-elettorali.

Passeggiano i candidati elegantemente vestiti con mogli al seguito, profumo e parrucchiere. Saluti e baci. Battute sagaci. Mani pulite.
Il vagone della metropolitana di superficie, parcheggiato davanti al cinema Rex, reliquia laica esposta al pubblico, lucida e pulita, arriva il progresso. Entrino signori, entrino…

Divento grande.
E’ sera.
Sagome di legno, una donna, un uomo…la città in cinema.
Ultimo spettacolo al cinema Olimpia, si gira l’angolo le saracinesche abbassate, poche persone, quel silenzio non fa paura.
Saltimbanchi e attori, universitari da tutta Europa.
La notte noir.

Ora il mio cane corre senza guinzaglio, entra ed esce da scatole di legno, i turisti camminano macchinetta al collo, commentano, lo sguardo sui muri.
I militari mi dicono signora richiami il suo cane lei lì non può andare.
Un dj urla la sua musica spostando un cursore, sbandieratori danzano sui tavoli.
Agosto finisce arriva Settembre, vai che si ricomincia?

Una pezza per i Portici da Alberto Gozzi

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L'Aquila, portici di corso Vittorio. Foto: Luca Del Monaco, Carsa Edizioni

L'Aquila, portici di corso Vittorio. Foto: Luca Del Monaco, Carsa Edizioni

«Che cosa faceva la sera del 23 maggio 1982?» «A che ora della sera? «Alle 20.15». «Ero sotto i portici» «Può affermarlo con sicurezza?» «Assolutamente» «Ha qualche testimone che lo può confermare?» «Sì, devo farle i nomi?» «Sarebbe meglio per lei» «Di tutti quanti?» «Sì»  «Allora facciamoci portare due caffè perché sono fra i centocinquanta e i duecento».

Poi si è alzato il vento, un’immensa macchina invisibile, che ha spazzato via dai portici i testimoni, i ragazzotti e le loro crestine di gel, le figliette con i rotolini di pelle appesi fuori dalla t-shirt, i vecchi che dicevano di attendere la morte come una liberazione – ma non era vero, non lo è mai, nessuno resiste al desiderio insano di vedere come andrà a finire (sempre allo stesso modo, ma non importa). Il vento della morte lo conoscevano, i passeggiatori dei portici, così come quello del tempo. Ogni sera ci si contava. Ogni sette sere qualcuno mancava. Ogni quindici sere. Ogni mese. Ogni tanto, diciamo, qualcuno non passava più. Malato? Forse. Partito? Improbabile: non ci si allontanava tanto facilmente da quella promenade coatta e dantesca – oppure: se qualcuno se ne andava, tornava quasi subito per raccontare i Paradisi che aveva visto negli altrove più fantasiosi proposti da un’offerta così globale da raggiungere perfino il popolo ammassato nei portici. Ma chi era partito rientrava. E se non si univa per più di dieci giorni alla carovana serale dei dannati-beati voleva dire che era morto.

Questi, gli effetti naturali del vento della storia e del tempo che agiscono combinandosi insieme, logorando e soffiando, estenuando prima per anni e subito dopo ramazzando via: netturbini insensibili come tutti gli alcolisti. È accettabile. Non c’è scelta – infatti i camminatori dei portici non protestavano, così come, in misura maggiore o minore, gli abitanti di altre geografie.

i Portici oggi

i Portici oggi

Ma è quel vento oscuro che non si riesce ad accettare, anonimo, arrogante e ottuso come un Capo di Gabinetto. Non figlio di quella Madre Terra che, secondo quanto si studia a scuola, dovrebbe rifornire gli umani di frutti, insalate varie, tenere erbette che alimentano ancor più teneri vitellini, cioè in pratica bistecchine, eccetera. Quale figlio? Questa volta mamma Terra, anziché partorire, ha emesso un peto distratto – immane, deflagrante e malevolo. Siamo molto oltre la decenza, moltissimo oltre la civile convivenza. Da lei, da mamma Terra, non ce lo saremmo aspettato. L’unica attenuante è che l’ha fatto senza accorgersene. Era notte, e può capitare che uno, rigirandosi, si rilassi un po’, anche un po’ troppo. Fra l’altro adesso mamma Terra, dopo la separazione da Urano, dorme da sola nel lettone coniugale, e si sa, senza l’inibizione del coniuge, è un attimo abbandonarsi alle sconvenienze.

Quella notte il popolo dei portici è scomparso. Dapprima è stato sollevato in verticale lungo la vertigine dell’Incredulità, poi durante la ricaduta al suolo è stato raccolto dal cucchiaio del Buio che l’ha riversato nell’imbuto del Freddo; di qui, dopo aver disceso il lungo viale del Non Sogno, è arrivato nel paese della Favola/Incubo, con le sue casette tirate su in ventiquattro ore con tecnica innovativa e implacabile: uno strato di parole, uno di euro e uno di irrisione.

È passato il tempo, e il popolo sogna, se ci riesce, le sue rituali processioni laiche ma quando qualche ardimentoso è andato in avanscoperta si è trovato di fronte a una lapide beffarda che l’ha indotto a ritornare indietro. C’è scritto: “Portici del Nulla”.

Una pezza per i Portici da Antonella Marinelli

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I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

E’ vero, può sembrare strano, ma c’è stato un periodo in cui se si voleva parlare con un amico lontano senza spendere una fortuna in gettoni telefonici (gettoni????? no, no, no, non divaghiamo, questa è uun’altra storia!!!) si prendeva carta e penna e si scriveva una lettera che poi si piegava accuratamente e si infilava in una busta, vi si incollava (anzi appiccicava con la saliva!!!!) il francobollo e si spediva alla buca delle lettere dell’ufficio postale situato a Piedi Piazza e, se tutto andava per il verso giusto, dopo 10 giorni circa ti arrivava la risposta!!!

Se, invece, il tuo amico era della tua città e avevi voglia di vederlo non dovevi fare altro che uscire di casa e prendere in considerazione l’idea di farti una bella e rilassante passeggiata “sotto i Portici”  e se non stava da Scataglini a prendere un caffè e a discutere di rugby, stava sicuramente alla vostra “colonna” insieme al resto della truppa!!!!

Poi per darsi appuntamenti, lasciare messaggi e avvisi c’era il fantastico cartellone dell’Orchestra Sinfonica Abruzzese ubicato al muro del palazzo della “Galvani” (che altro non è che il primo palazzo all’inizio del corso)….qualunque cosa volessi sapere su chiunque ti fermavi lì davanti e leggevi chi stesse dove e che cosa stesse facendo con chi…

Gli anni passano, i tempi cambiano, gli eventi catastrofici ci mettono del loro ed ora i Portici sono un insieme di bulloni di acciaio che sibilano quando vengono attraversati dal vento, ma siccome noi Aquilani siamo gente tosta non ci rassegnamo all’evidenza e, seppur rendendoci conto che nulla potrà essere più come prima, siamo intenzionati a dare nuova vita ai nostri Portici e, adottando un detto non mio pescato da un posto che non ricordo, “quando si ha un perché per vivere, si sopportano tutti i “come”!

Una pezza per i Portici da Giulio Rosati

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I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

Ci sono nato e ci ho vissuto sotto i Portici. Anzi, sopra. La città passava sotto i miei occhi, era normale. sempre meno di fretta, mano a mano che si consumava il giorno.

Studenti di corsa con lo zaino alle 8, verso il “Rex”, verso il “vicolo”, verso ogni scuola.

Cittadini al lavoro, in ritardo, da San Bernardino ai Quattro Cantoni, da sinistra a destra. e dalle sei, da aprile in poi, ragazzi, tanti.

Fidanzati, a baciarsi con ancora un po di sole a filtrare dallo scorcio di via Fortebraccio e a morire al Parco del Sole.

E poi gli “altri” Portici, quelli più belli e più lunghi.

Quelli del Convitto Nazionale, ci ho fatto le medie: uscire sotto quelle volte altissime era essersi liberati di un altro giorno di scuola. Si usciva letteralmente di corsa, a maggio era bellissimo, si volava. Non c’è più quella scuola. I Portici del Liceo Classico: ci sentivamo dei privilegiati a stare sotto i Portici..se pioveva, quando uscivi manco ti bagnavi. Era meglio, no? Non c’è più neanche quella scuola. E quella biblioteca…anni di università ancora a studiare sotto i Portici.

Colazione al bar? L’Eden, sotto i Portici. Anche quando facevi colazione ed invece saresti dovuto essere in classe…qualche anziano usciva dalla chiesetta, sempre sotto i Portici, con la sua scritta latina sulla porta che so a memoria e che fu forse la prima frase che tradussi in vita mia.

Sempre i madonnari davanti e sempre uno a terra con la mano tesa in cerca di elemosine.

Le sigarette a Morelli e la cioccolata alla Talmone.

E una vita vera, una vita fa, sotto i Portici più belli del mondo.

Una pezza per i Portici da Marianna

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I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

E sì, una pezza ai Portici dell’Aquila va messa. Ma una pezza bella grande e importante.

Come si faceva una volta, e qualcuno fa ancora, di mettere un centrino importante su un tavolo che magari non è più lucido e ha pure qualche buchetto di tarlo. Un centrino a riportare lo sguardo su qualcosa, evidentemente importante, indipendentemente dallo stato fisico del ‘cosa’. E con un vaso sopra, di fiori o di frutta, o di caramelle.

I Portici dell’Aquila servivano a riconoscersi.

A seconda dell’ora della giornata, spartivano i cittadini lungo il Corso in categorie e gruppi. Una funzione tutt’altro che estetica, un gioco sociale al quale nessuno sfuggiva. Regole implicite, dettate con semplicità dalla banale frequentazione quotidiana del centro storico e della sua via principale.

Sotto i Portici camminavano più donne che uomini, più famiglie con bambini che single, più anziani che giovani, più bambini che ragazzi. Quelli che avevano più fretta se era dopo le sette della sera, quelli che ne avevano meno se era di mattina. Quelli senza l’ombrello, quelli non ancora temprati al vento perennemente incanalato lungo il Corso, quelli più pensierosi, quelli che ancora non conoscevano le regole del gioco e temevano di sbagliare. Gli altri i Portici li fiancheggiavano, invadendo la strada, tenendo sempre d’occhio tra una colonna e l’altra chi ci fosse in giro.

Adesso sotto i portici fasciati, ingabbiati, irretiti tra tubi e teli di cantiere camminano i turisti, gli aquilani preferiscono la via larga e aperta e raramente gettano lo sguardo alle colonne. Tanto in giro non c’è nessuno da riconoscere.

Ci serve la pezza più colorata che c’è.