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Il progetto di Chieri – Torino

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Il progetto di Chieri – Torino

L’Associazione PUNTOACAPO insieme alla Sartoria Sociale del Museo del Tessile di Chieri, Torino, ci mettono una pezza! ” Stiamo progettando un intervento dalla porta centrale del Museo che si irradi verso tutta la via adiacente alla facciata dell’edificio.
Il progetto sarà condiviso con gli utenti del centro di formazione per adulti (CPIA) secondo uno spirito di condivisione e di unione delle diverse culture e anime della città. Essendo la via nelle vicinanze dell’Ospedale si coinvolgerà l’asl locale allo scopo di sperimentare attività manuali di tessitura e di lavori a maglia con i degenti disponibili e valutarne le implicazioni di cura e sollievo secondo le teorie che vedono la connessione tra cultura e salute.”

Se volete partecipare a questo progetto scrivete a :

puntoacapo.torino@gmail.com

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Il progetto di mettiamoci una pezza

 

E’ tempo di tornare in Piazza Duomo

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Mettiamoci Una Pezza in Piazza Duomo, L'Aquila

Mettiamoci Una Pezza in Piazza Duomo, L’Aquila – foto di Alessandro Urbani – Snap the World

Abbiamo sempre risposto a chi domandava che fine avrebbero fatto le pezze che noi naturalmente ne avremmo curato la  manutenzione.

Sapevamo che il tempo  non le avrebbe risparmiate, sporcandole o semplicemente alterandone i colori.

Lasciamo stare quello che alcuni hanno invece fatto accanendosi a strappare, rubare, bucare quei rettangoli colorati e così facendo  deturpando e calpestando ciò che con tanta cura era stato allestito; ci siamo già pronunciate ed il silenzio in questo caso non è sinonimo di resa.

La rassegnazione non ci appartiene, l’impegno l’avevamo preso  e quindi… incontriamoci in Piazza Duomo mercoledì 29 Agosto, dal pomeriggio ci troverete lì.

Chi vuole può portare qualcosa di nuovo o solo ago e filo.

Saranno presenti anche le telecamere di una televisione svizzera. Mettiamoci una Pezza  ancora desta interesse e questo successo lo dobbiamo doverosamente dividere anche con voi che ci avete dal primo momento sostenuto ed aiutato.

E così, finalmente, l’idiota si è palesato.

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la scalinata danneggiata

la scalinata danneggiata

Eravamo un po’ con il fiato sospeso, stupite e felici che nessuno avesse ancora fatto danni alle migliaia di pezze colorate che hanno reso la nostra piazza più bella, la nostra azione un simbolo.

Quelle pezze che hanno fatto avvicinare tanta gente mentre lavoravamo all’istallazione con le mani impiastrate di colla naturale (acqua e farina), per chiederci “che cosa state facendo” o semplicemente per dirci con un sorriso “grazie per quello che fate”. Le pezze di lana arrivate da tutta Italia per L’Aquila, arrivate da molte parti d’Europa e del mondo a dirci “non siete soli”, sono state rubate, strappate, divelte, scomposte.

Finalmente l’idiota è arrivato.

Ieri pomeriggio abbiamo notato che sulle bellissime cabine telefoniche sulle quali stiamo lavorando da quattro giorni, manca qualcosa. Erano cucite e incollate. Le hanno strappate e portate via.

una delle pezze mancanti della cabina telefonica

una delle pezze mancanti della cabina telefonica

La scala che dal Welcome Point porta all’ingresso dei tappeti mobili, al tunnel del mega parcheggio, la scala che è stata fotografata, ripresa, di cui si è scritto su centinaia di giornali nazionali e locali, che ha fatto il giro dei tg e dei settimanali, fatta e assemblata da ragazzi, ragazze, donne, nonne, aquilani e no, quella scala sulla quale si andavano a coccolare i fidanzati e ci si facevano pure le foto, è stata distrutta.

Che sia stata un’azione di “casapau”, un dispetto per la chiusura della campagna elettorale, etichettandoci, ancora una volta, sbagliando, legate ad un partito?

O forse saranno stati rumeni ubriachi? Così, tanto per farsi male da soli, auto celebrare e ribadire insulsi e razzisti luoghi comuni che vogliono lo straniero vandalo e cattivo.

le pezze strappate dall'edicola

le pezze strappate dall’edicola

Studenti universitari annoiati che hanno scelto le pezze d’arte più belle per arredare le mura di cartone delle loro stanze squallide?

Ragazzi della periferia, analfabeti e strafatti di chimica, con quelle belle creste in testa, i pantaloni il cui cavallo rasenta il marciapiede e gli occhialoni “finto carrera”?

Bulletti ancora spaventati dal terremoto?

Turisti del sisma, che vogliono riportare a casa macerie ad ogni costo e visto che non hanno potuto, in mancanza di morti e foto spettacolari, una pezza dall’Aquila se la sono riportata comunque?

Chi è stato in fondo non importa.
Insulso, come il gesto che ha compiuto.

Ci ha fatto incazzare però, e rende difficile denunciare lucidamente un gesto violento su quanto di meno violento esiste: la lana, i fili, le mani che impastano colla.

E gli occhi finalmente accesi delle migliaia di persone che hanno guardato la città colorata e insieme a noi hanno ricominciato a sperare.

Una pezza per i portici da Maria Piera D’Alessandro

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i Portici di L'Aquila, prima del sisma del 6 aprile 2009

i Portici di L'Aquila, prima del sisma del 6 aprile 2009

Il breve tragitto che separava casa mia dai Portici, 3-400 metri in tutto, aveva per me il sapore della libertà. Libertà dalla famiglia, libertà dalle incombenze scolastiche e libertà dal ruolo di figlia, di bambina ancora da proteggere e tenere d’occhio.

Lì, sotto i Portici, mi sentivo grande, indipendente, alla pari con tutti gli altri, con la fiumana di ragazzi e ragazze che ogni sera , e ogni giorno alla fine delle lezioni, vi si riversavano.
Insomma, quel breve tratto di “strada”, con negozi, bar e anche una chiesetta, era in realtà una scuola di vita. Lì ho (intra)visto i miei primi amorazzi, lì si sono infranti i miei sogni romantici da due cuori ed una capanna, lì ho pianto per il mio povero cuore da sedicenne spezzato e anche per un brutto voto a scuola.
Lì confabulavo con le amiche se “quello là” tanto carino non fosse un filino troppo grande per me!

I Portici, quindi, come viaggio iniziatico, di formazione: si entrava ragazzini e se ne usciva adulti. Si arrivava timidi ed insicuri, alla ricerca di una colonna a cui associarsi. Ogni colonna aveva il suo nome preso in prestito dal vicolo attiguo o dal negozio più vicino. E ad ogni colonna corrispondeva una “compagnia” di ragazzi con caratteristiche ben precise. Per tipologia di scuola, ambito sociale e/o politico ed età. Di solito ci si accodava a qualcuno che, benevolo, permetteva al nuovo arrivato di entrare nella compagnia. Una specie di presentazione ufficiale, come nei circoli più esclusivi. Poi, pian piano, da pulcini spaventati si guadagnava in sicurezza ed autorevolezza, all’interno di una invisibile, ma disciplinata “scala sociale” interna ad ogni compagnia. E con il passare degli anni, se si aveva la voglia e la costanza di rimanere sempre lì, si arrivava ad essere il punto di riferimento della colonna o del vicolo. Magari conosciuti e riconosciuti in tutta la “vasca” dei Portici. Insomma, si diventava una piccola celebrity!
Chiaramente alla sottoscritta non è mai accaduto! Io facevo parte della maggioranza silenziosa, quella che era contenta di stare lì, ma non aspirava alla celebrità. Anzi, più era invisibile e meglio stava!

Poi, ad un certo punto della tua storia, i Portici ti “sputavano” fuori: perchè a quel punto eri pronto per affrontare la vita, quella vera, senza che loro stessero lì a proteggerti, con il loro abbraccio rassicurante, perchè avevano esaurito il loro compito e, come una mamma benevola, ti accompagnavano con delicatezza verso l’età adulta che ti attendeva aldilà del Corso.

I Portici oggi  - foto di Anna Lordi

I Portici oggi - foto di Anna Lordi

Quel Corso che ora è lì, immobilizzato dalle transenne e imbracato dai puntellamenti. Con le vie laterali chiuse ed inaccessibili. Con i militari che gentilmente ma con fermezza lo presidiano e i cittadini che ostinatamente tornano lì, in mezzo al nulla, per fare le loro passeggiate fino a Piazza Duomo, dove c’è, ancora ferita, la Chiesa delle Anime Sante, emblema del terremoto. Ma proprio dai Portici si può percepire che gli aquilani non si sono arresi ed ancora sono lì, in attesa di riappropriarsi della città, quando sarà loro permesso. Lo si vede dalle chiavi delle case, che i cittadini del centro storico hanno appesa più di un anno fa, proprio sotto i Portici, e che toglieranno quando potranno tornare nelle loro abitazioni, ora inaccessibili o, in alcuni casi, da abbattere. Lo si vede dalle pezze colorate messe un po’ dappertutto proprio lì, grazie all’iniziativa Mettiamoci una Pezza, per ridare colore e vita alla città dell’Aquila. Iniziativa che ha riscosso un notevole successo, con 4000 pezze pervenute da tutto il mondo. Nel III anniversario del terremoto, questi piccoli capolavori fatti a maglia hanno decorato i Portici, la Piazza del Duomo ed altri luoghi simbolo di quella che fu la città pre-sisma.

Un modo di riprendersi il centro, anche solo per una giorno, anche solo simbolicamente.

pubblicato il 10 aprile 2012 su La Eco

Foto dell’allestimento di “Mettiamoci Una Pezza! una città ai ferri corti”

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Una selezione delle foto dell’allestimento del 5 aprile, by Marco D’Antonio per Animammersa

Una pezza per i Portici da Alberto Gozzi

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L'Aquila, portici di corso Vittorio. Foto: Luca Del Monaco, Carsa Edizioni

L'Aquila, portici di corso Vittorio. Foto: Luca Del Monaco, Carsa Edizioni

«Che cosa faceva la sera del 23 maggio 1982?» «A che ora della sera? «Alle 20.15». «Ero sotto i portici» «Può affermarlo con sicurezza?» «Assolutamente» «Ha qualche testimone che lo può confermare?» «Sì, devo farle i nomi?» «Sarebbe meglio per lei» «Di tutti quanti?» «Sì»  «Allora facciamoci portare due caffè perché sono fra i centocinquanta e i duecento».

Poi si è alzato il vento, un’immensa macchina invisibile, che ha spazzato via dai portici i testimoni, i ragazzotti e le loro crestine di gel, le figliette con i rotolini di pelle appesi fuori dalla t-shirt, i vecchi che dicevano di attendere la morte come una liberazione – ma non era vero, non lo è mai, nessuno resiste al desiderio insano di vedere come andrà a finire (sempre allo stesso modo, ma non importa). Il vento della morte lo conoscevano, i passeggiatori dei portici, così come quello del tempo. Ogni sera ci si contava. Ogni sette sere qualcuno mancava. Ogni quindici sere. Ogni mese. Ogni tanto, diciamo, qualcuno non passava più. Malato? Forse. Partito? Improbabile: non ci si allontanava tanto facilmente da quella promenade coatta e dantesca – oppure: se qualcuno se ne andava, tornava quasi subito per raccontare i Paradisi che aveva visto negli altrove più fantasiosi proposti da un’offerta così globale da raggiungere perfino il popolo ammassato nei portici. Ma chi era partito rientrava. E se non si univa per più di dieci giorni alla carovana serale dei dannati-beati voleva dire che era morto.

Questi, gli effetti naturali del vento della storia e del tempo che agiscono combinandosi insieme, logorando e soffiando, estenuando prima per anni e subito dopo ramazzando via: netturbini insensibili come tutti gli alcolisti. È accettabile. Non c’è scelta – infatti i camminatori dei portici non protestavano, così come, in misura maggiore o minore, gli abitanti di altre geografie.

i Portici oggi

i Portici oggi

Ma è quel vento oscuro che non si riesce ad accettare, anonimo, arrogante e ottuso come un Capo di Gabinetto. Non figlio di quella Madre Terra che, secondo quanto si studia a scuola, dovrebbe rifornire gli umani di frutti, insalate varie, tenere erbette che alimentano ancor più teneri vitellini, cioè in pratica bistecchine, eccetera. Quale figlio? Questa volta mamma Terra, anziché partorire, ha emesso un peto distratto – immane, deflagrante e malevolo. Siamo molto oltre la decenza, moltissimo oltre la civile convivenza. Da lei, da mamma Terra, non ce lo saremmo aspettato. L’unica attenuante è che l’ha fatto senza accorgersene. Era notte, e può capitare che uno, rigirandosi, si rilassi un po’, anche un po’ troppo. Fra l’altro adesso mamma Terra, dopo la separazione da Urano, dorme da sola nel lettone coniugale, e si sa, senza l’inibizione del coniuge, è un attimo abbandonarsi alle sconvenienze.

Quella notte il popolo dei portici è scomparso. Dapprima è stato sollevato in verticale lungo la vertigine dell’Incredulità, poi durante la ricaduta al suolo è stato raccolto dal cucchiaio del Buio che l’ha riversato nell’imbuto del Freddo; di qui, dopo aver disceso il lungo viale del Non Sogno, è arrivato nel paese della Favola/Incubo, con le sue casette tirate su in ventiquattro ore con tecnica innovativa e implacabile: uno strato di parole, uno di euro e uno di irrisione.

È passato il tempo, e il popolo sogna, se ci riesce, le sue rituali processioni laiche ma quando qualche ardimentoso è andato in avanscoperta si è trovato di fronte a una lapide beffarda che l’ha indotto a ritornare indietro. C’è scritto: “Portici del Nulla”.

Una pezza per i Portici da Marianna

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I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

I Portici - Virtual urban knitting by D. Giagnacovo

E sì, una pezza ai Portici dell’Aquila va messa. Ma una pezza bella grande e importante.

Come si faceva una volta, e qualcuno fa ancora, di mettere un centrino importante su un tavolo che magari non è più lucido e ha pure qualche buchetto di tarlo. Un centrino a riportare lo sguardo su qualcosa, evidentemente importante, indipendentemente dallo stato fisico del ‘cosa’. E con un vaso sopra, di fiori o di frutta, o di caramelle.

I Portici dell’Aquila servivano a riconoscersi.

A seconda dell’ora della giornata, spartivano i cittadini lungo il Corso in categorie e gruppi. Una funzione tutt’altro che estetica, un gioco sociale al quale nessuno sfuggiva. Regole implicite, dettate con semplicità dalla banale frequentazione quotidiana del centro storico e della sua via principale.

Sotto i Portici camminavano più donne che uomini, più famiglie con bambini che single, più anziani che giovani, più bambini che ragazzi. Quelli che avevano più fretta se era dopo le sette della sera, quelli che ne avevano meno se era di mattina. Quelli senza l’ombrello, quelli non ancora temprati al vento perennemente incanalato lungo il Corso, quelli più pensierosi, quelli che ancora non conoscevano le regole del gioco e temevano di sbagliare. Gli altri i Portici li fiancheggiavano, invadendo la strada, tenendo sempre d’occhio tra una colonna e l’altra chi ci fosse in giro.

Adesso sotto i portici fasciati, ingabbiati, irretiti tra tubi e teli di cantiere camminano i turisti, gli aquilani preferiscono la via larga e aperta e raramente gettano lo sguardo alle colonne. Tanto in giro non c’è nessuno da riconoscere.

Ci serve la pezza più colorata che c’è.